martedì 21 dicembre 2010

Natale con i tuoi...

Sembra quasi un dato di fatto: le feste si avvicinano e i sensi di colpa si amplificano! Come se l'effetto traumatico culturale del sentire ripetuta all'infinito la frase "Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi" causi uno shock ad effetto ritardato sulla nostra mente. Ed è una cosa credo del tutto italiana.

Il Natale sembra creato apposta per 2 motivi:
  1. per lo shopping
  2. per i sensi di colpa
Nessuno oramai sa più il vero significato del Natale... ma le musichette dei centri commercili, anche di quelli in paesi dove il Cristianesimo è ben lontano dall'essere una religione di stato, ipnotizzano gli ignari acquirenti che si ritrovano con le buste piene e le tasche vuote, a dispetto della crisi economica mondiale.

Inoltre ci sentiamo costretti a riprendere i contatti con tutti, anche con chi non sentiamo ne vediamo da anni. Ci sentiamo colpevoli per avere una vita nostra, delle esigenze che non coincidono con quelle di chi ci sta accanto, dei ritmi che non lasciano spazio ai socialnetwork diversi da facebook.

Peggio ancora quando le 2 cose si combinano e acquistiamo regali per farci perdonare di essere distanti. Vita da expat...

martedì 2 novembre 2010

Quando la nostalgia ti assale

Vivere lontani dal proprio paese qualche volta può essere liberatorio. Pochi obblighi, pochi legami, tempo per se stessi. Ma altre volte tutto questo tempo può in realtà portare a pensare senza sosta a chi abbiamo lasciato, agli affetti che soffrono per la scelta fatta.

Silom Road, stand gastronomico italiano
Una birra, solo perché Moretti vale il prezzo stratosferico che te la fanno pagare solo perché ti riporta indietro nel tempo, ti lascia riassaporare le serate trascorse con gli amici.

Ma la vita prosegue con la quotidianità e le nuove abitudini che si acquisiscono. Non resta altro da fare che connettersi ad internet e programmare il prossimo viaggio, la prossima fuga in luoghi nuovi, con gente nuova.

Si preparara la valigia: il minimo indispensabile ai giorni che si starà fuori. Si controlla il meteo: soprattutto in un paese tropicale come la Tailandia è indispensabile altrimenti si rischia che nel periodo dei monsoni si resti bloccati in un isola a tempo indeterminato. Si controlla che non ci sia cibo sparso per casa: gli scarafaggi sono in grado di arrivare ovunque. Si chiude casa, si chiama il taxi e si parte... Phuket, arrivo!

sabato 17 luglio 2010

Viaggioesia

Stazione dai binari senza sosta
Gente in costante movimento
Arrivi
Partenze
Una foto per fissare un momento


L'amico scompare
la memoria rimane


In memoria di Rungrote
amico e collega






mercoledì 14 luglio 2010

Non è tutt’oro ciò che brilla nella terra dei sorrisi!

I 514.000 km² della Tailandia (contro i 301.338 km² dell’Italia ma una densità della popolazione di circa la metà rispetto al nostro paese) sono compresi su 1700 km di lunghezza da nord a sud e presentano una varietà di paesaggi davvero unici: dalle zone montuose e ricche di foreste del nord, alle pianure e dolci colline ricche di campi e frutteti delle zone centrali, alle più turistiche zone costiere – sia verso il Golfo di Tailandia che verso il Mar delle Andamane. La varietà di paesaggi si associa ad una altrettanto evidente varietà di etnie, usi e costumi: aspetto fisico, lingua, cucina, usanze religiose, perfino le pratiche terapeutiche del massaggio possono differire in modo notevole da zona a zona.

Chi almeno una volta ha avuto la possibilità di visitare la Tailandia concorderà con me quando dico che si tratta di un paese bellissimo.

La popolazione, un totale di 64 milioni di abitanti di cui circa 10 milioni concentrati nella capitale, si compone di almeno 4 principali sottogruppi propriamente tailandesi e altre minoranze di diversa origine: Thai - centrali, nord-orientali, settentrionali e meridionali- ma anche cinesi, vietnamiti, malesi. Circa il 94% della popolazione è buddista e proprio questa radicata professione religiosa, mista ad un senso di superstizione in cui le fede si fonde alle credenze popolari, rende il popolo tailandese così affascinante e solare.

Dopo una breve vacanza trascorsa alla ricerca di angoli incontaminati, templi, elefanti e spiagge remote la decisione di diventare un “expat” venne naturale. Expat, altro non è che un modo altolocato per dire emigrante (che sia a tempo determinato o no chi può stabilirlo), come se ci si debba vergognare di utilizzare questo termine e si preferisca espatriato. Un senso di malcontento e il desiderio di fare esperienze nuove mi accompagnava incessantemente da diverso tempo. Alla soglia dei 40 anni in molti hanno creduto che fossi impazzito. Ma non è mai troppo tardi per fare un passo che potrebbe essere più lungo della gamba.

La fortuna e la determinazione giocano nella vita un ruolo fondamentale e l’una non può fare a meno dell’altra. Nel mio caso le giuste conoscenze e una grande sfrontatezza hanno accelerato il tutto: in poco tempo avevo un visto di soggiorno, un lavoro che mi consentiva la sopravvivenza e un biglietto aereo A/R con partenza in 1 mese e rientro dopo 6.

Questo è stato probabilmente un primo errore: tutto troppo di corsa! Pianificare è la cosa migliore… cercare di capire dove ci si sta recando e perché! Fare una vacanza è un conto, trasferirsi è un altro. Lasciare un paese può essere liberatorio ma questo non dovrebbe incidere su chi resta, cosa che a malincuore ammetto di aver lasciato che accadesse (troppe le persone in Italia che a questo punto meriterebbero un grazie pubblico, meglio evitere!).

Le difficoltà di comunicazione sono il primo vero ostacolo incontrato al mio arrivo. La Tailandia ufficialmente ha 2 lingue, il tailandese, per l’appunto, e l’inglese. Ma fra la teoria e la realtà c’è un abisso socioculturale, territorio dipendente. A Bangkok e nelle principali mete turistiche s’incontra sempre qualcuno che parli inglese e lo capisca anche se questo non deve essere dato per scontato. Molti dei tassisti non sono in grado di capire dove vogliamo andare se non pronunciamo correttamente la destinazione (provate a chiedere Victory Monument e vedete che succede se non riuscite a ricordarvi che lo stesso posto è conosciuto come Anusawari Chai Samoraphum) e nei ristoranti di strada gli expat imparano in fretta come ordinare i piatti preferiti. Ma la comunicazione non è fatta solo di parole. Il linguaggio corporale dei tailandesi differisce in modo sostanziale dal nostro. Il sorriso non è sempre espressione di felicità: con il tempo ci si accorge che qui la gente sorride più frequentemente quando è imbarazzata o non capisce ma ha paura di chiedere spiegazioni. Il contatto fisico è comune fra amici e familiari ma gesti per noi semplici come la stretta di mano o il bacio sulla guancia, quando ci si incontra, sono sostituiti dal “wai” (un saluto fatto congiungendo le mani come quando si prega ed eseguendo un lieve inchino), delicato e rispettoso ma che non prevede alcun contatto.


La ricerca di un alloggio non è sempre facile. La cosa ideale è trovare un hotel che sia in una zona centrale per i primi giorni, in modo tale da poter esplorare la città e capire in quale area si desidera vivere. Una volta scoperta la zona più conveniente (economicamente, per mezzi di trasporto pubblici, per sicurezza) inizia l’avventura della contrattazione. Anche in questo caso la fortuna di avere amici sul posto, in grado di parlare la lingua, mi ha facilitato la ricerca. Diffidate delle agenzie che offrono posti centrali a prezzi bassissimi ma soprattutto attenzione agli acquisti di case: per legge la terra su cui viene costruita una casa deve appartenere ad un tailandese!

Nel trasferirsi in un nuovo paese è importante conoscere un minimo le norme e le regole che potrebbero influire sulla vita quotidiana. In Tailandia, ad esempio, il datore di lavoro sottopone un nuovo impiegato a un periodo di prova che può variare da 3 a 4 mesi (e il superare il periodo di prova non è una cosa scontata); i giorni di ferie variano in base al datore di lavoro e agli anni di lavoro per la stessa compagnia (da 6 a 14 giorni all’anno nel mio caso!); se insulto Berlusconi in Italia nessuno ci fa caso ma se qui parlo pubblicamente di politica ed espongo opinioni troppo dure rischio il carcere (che è sicuro se faccio un commento o una battuta che riguardi il Re). Ma questi sono solamente alcuni esempi.

Vale la pena di parlare del cibo. La cucina tailandese è una delle più rinomate al mondo ma… non è la cucina italian! Con questo intendo dire che noi siamo in generale abituati a cercare il giusto ristorante italiano ovunque ci rechiamo. Bangkok e la Tailandia in generale, è piena di ristoranti italiani (più o meno autentici e con cibo più o meno buono). Ma se si guadagna alla tailandese non ce lo possiamo permettere troppo spesso (e anche cucinare a casa risulta molto costoso). Prima o poi ci dobbiamo adattare. Io adoro il cibo tailandese ma ho scoperto di essere allergico al coriandolo (praticamente il prezzemolo tailandese, sia per aspetto che per frequenza d’impiego) e all’inizio ho fatto i conti con il peperoncino. Per potersi abituare si deve andare nei ristoranti di strada con la gente del posto, evitando i cibi non caldi (la dissenteria è la patologia più diffusa qui), aumentando in modo graduale la quantità di “chilly” e assaggiando tutto, senza farsi troppi scrupoli.


Infine la gente: sorrisi, inchini … ma perché? Accennavo prima che spesso i tailandesi mascherano il disagio dietro un sorriso. Le divisioni sociali sono tuttora molto sentite nella società thai e la famiglia gioca un ruolo centrale nella vita quotidiana. Ma questo non significa che il rispetto visibile con gli atteggiamenti abbia sempre una corrispondenza con quello che pensano realmente. Potremmo restare sorpresi nello scoprire che l’essere diretti è considerato spesso scortese e che è più semplice per un tailandese lamentarsi di un nostro comportamento alle nostre spalle piuttosto che direttamente con noi. Lavorando a stretto contatto con tailandesi e avendo pochissimo a che fare i farang (termine tailandese che indica tutti gli stranieri occidentali) ho dovuto rapidamente imparare a relazionarmi con loro adattandomi ai loro modi senza pretendere che fossero loro ad adattarsi ai miei. Dimentichiamo spesso che siamo ospiti e non padroni di casa.

In conclusione: anche se non è tutt’oro ciò che brilla nella terra dei sorrisi, per il momento l’idea di andarmene da questo paese ospitale non ha neppure lontanamente sfiorato la mia mente!

martedì 22 giugno 2010

Non essere ciechi!

La maggior parte delle persone associano nella loro mente la parola Tailandia (o Thailandia per chi preferisce inglesizzare il nome di questo splendido paese) a sole, caldo, spiagge bianche, elefanti, tutte immagini che per la maggior parte dei turisti riflettono uno spaccato infinitamente minoritario di quanto in realtà il Regno di Siam possa offrire. Le mie parole potranno suonare a molti come controcorrente ma nel corso del tempo ho imparato ad amare questo paese e la sua gente, nonostante il mio impatto iniziale non sia stato quello che solitamente ha il turista spensierato in cerca di divertimento. La Tailandia non è il paradiso in terra ma un paese ricco di contraddizioni, il cui popolo soffre del divario socio-culturale ed economico fra aree rurali e mete turistiche e dove la gente sorride per imbarazzo più che per cortesia. Un paese che prende il cuore e lo trasforma, arricchendolo con tutte le bellezze che ha da offrire.

Bangkok rappresenta la principale via d'accesso non solo per chi è diretto qui in Tailandia ma anche per tutti coloro che si dirigono nel Sud-Est Asiatico e in Oceania. L'Aeroporto Internazionale di Suvarnabhumi, aperto nel 2006, è uno dei più trafficati di tutta l’Asia e in molti decidono di effettuare uno stopover per godere del fascino della capitale . Bangkok è una città ipertecnologica in cui hotel e ristoranti lasciano ancora respirare il senso della tradizione e dell’ospitalità genuina. Nel corso del tempo la fama turistica di Bangkok e di tutto il resto del paese si è accresciuta determinando fenomeni talora deplorevoli per il mondo occidentale. Fortunatamente negli ultimi anni gli sforzi del Governo Tailandese e delle Organizzazioni Internazionali hanno contribuito a ridurre drasticamente la tristemente famosa piaga del turismo sessuale e della pedofilia anche se la strada da percorrere affinché tutto ciò abbia fine è sicuramente ancora lunga. Ma siamo davvero in tanti, tailandesi ed expat che per motivi diversi hanno scelto la Tailandia come loro fissa dimora, a credere che spetti a ciascuno di noi compiere il primo passo per rendere giustizia ad un popolo che, spesso per disperazione, si lascia travolgere dalla violenza del sopruso economico del mondo occidentale.

Mi ritengo fortunato. Sono arrivato in Tailandia un po’ per caso, in vacanza, in fuga dall’Italia. Quando oramai 2 anni fa casualmente esplorai da Nord a Sud una buona percentuale dei suoi oltre 500.000 km², partendo da Chiang Mai, passando per l’antica capitale Sukhothai e la tecnologica Bangkok, e terminando nella spettacolare e poco nota isola di Koh Lipe, non avrei immaginato che dopo solo un mese avrei fatto le valige, chiuso casa e che mi sarei ritrovato a vivere e lavorare nella “terra del sorriso”. Trovare lavoro in Tailandia per chi non sia madrelingua inglese non è poi così semplice ma la determinazione che mi caratterizza non mi ha fatto demordere e in breve ho ottenuto visto, contratto, assicurazione sanitaria. Ma soprattutto amici!

Proprio con un gruppo di amici, in un sabato sera dell’oramai lontano ottobre del 2008, mi trovavo nel quartiere meno tailandese di Bangkok, Khao San Road, per celebrare spensieratamente una delle festività buddiste tailandesi, ignaro di quanto a breve sarebbe successo. Uscito dal locale ancora sobrio (a differenza del resto del gruppo con cui ero, che nonostante l'elevato tasso alcolico nel sangue aveva deciso di fermarsi per un altro "bicchierino") mi sono incamminato per prendere un taxi e tornarmene a casa... sul bordo della strada, rannicchiato su una borsa di plastica gialla, un bambino solo dormiva senza nessuno accanto... qualcuno gli aveva appoggiato accanto un piatto con del cibo (come da noi farebbero le gattare con un cuccioletto che non si potessero permettere di raccogliere) e un bicchiere di plastica con delle monete... Una scena surreale ma in realtà piuttosto comune in questo paese. All’improvviso mi sentii catapultato in una scena da film visto che purtroppo non riesco a farmi gli affari miei. In pochi istanti ero stato in grado di mobilitare 2 cari amici, un americano e una tailandese: loro, purtroppo abituati a certe scene, come primo suggerimento dissero che sarebbe stato meglio lasciare stare. Credo che siano stati i miei occhi lucidi e la rabbia per l’indifferenza a convincerli ad aspettare con me per vedere se ci fosse qualcuno che lo stesse "monitorando" da lontano al solo scopo di creare compassione nei passanti. Volevo essere sicuro che nessuno gli facesse del male. Trascorsa una mezz'oretta senza che nessuno si avvicinasse al bimbo (a parte qualche turista incuriosito che lasciava 5 o 10 Baht -ci vogliono oggi 39 Baht per fare 1 €) la decisione di attraversare la strada con il bimbo e di entrare al posto di Polizia distrettuale. Ho così preso in braccio il bimbo che che stranamente non si riusciva a svegliare, ho attraversato la strada e sono entrato nella stazione di polizia... Nessuno che parlasse una parola d'Inglese. Pear spiegò come stavano le cose ad un agente il quale, con tutta naturalezza, rispose di riportare il bambino in mezzo alla strada o, se volevamo, di portarcelo a casa! E non scherzo!!!
A quel punto chiediamo che loro facessero qualcosa. Visto che la richiesta proveniva da due “farang” (termine thai che indica gli stranieri occidentali) ci chiesero di portare il bimbo,
ancora addormentato, al piano superiore dove avevano una stanza... UNA STANZA? ASSISTENTI SOCIALI? SERVIZI PER I MINORI? NO! Nulla di tutto ciò. Una cella, 2metri X 2... buia, puzzolente ed umida. Fra le mie braccia questo pupazzo inerme continuava a dormire. La buona sorte, il buon Dio, la Provvidenza, chi volete voi, ha fatto sì che arrivasse un'ambulanza con un'infermiera trans disponibilissima la quale, controllato il bambino ci spinse in una volante della polizia parcheggiata. In meno di 1 minuto ci siamo visti tutti e 4 catapultati in una frenetica corsa diretti verso il pronto soccorso più vicino. Vi lascio immaginare i nostri cuori.

Arrivati al Pronto Soccorso iniziano le indagini: pressione sanguigna bassa, febbre. Via di corsa in sala visite. Come per incanto il bimbo si sveglia, non completamente, non proprio lucido ma con gli occhietti a mandorla socchiusi si aggrappa al mio collo come una scimmietta spaventata. Nel corso della visita emerge una disfunzione cardiaca che necessitava ulteriori accertamenti. L’attesa del cardiologo non sembrava aver fine. Lentamente l’angioletto inizia a prendere confidenza, grazie anche ai cartoni animati fortunatamente salvati sul cellulare. Ed ecco che un’allegra comitiva si scatena... e vai di giochi, musichette e video dai cellulari, latte e cioccolato. Tuun iniziò a parlare (in Thai dice inizialmente di chiamersi Maa -ovvero cane- poi dice di chiamarsi Tuun, solo dopo alcuni giorni viene fuori che il suo nome era Ef): scopriamo che non era con la mamma ma con un uomo che chiamava zio e che era abituato a trascorrere la notte in strada. Finalmente ci portarono in pediatria. Erano oramai le 5 del mattino! Tuun era così fortemente attaccato al mio collo che non credevamo fosse possibile lasciarlo lì. A causa del suo disturbo cardiaco, determinato dalla somministrazione di una imprecisata sostanza stupefacente in grado di tenerlo assopito durante la notte in strada, un repentino trasferimento in terapia intensiva. I suoi occhietti furbi brillarono quando ci vide entrare nella sua cameretta.




Per un mese la mia pausa pranzo al lavoro e il dopolavoro non fu altro che un viaggio interminabile per poterlo vedere e fargli sentire che non lo avremmo abbandonato. Il mio stipendio tailandese (e parte di quello dei miei amici) si disperdeva in taxi, treno, caramelle, gelati, giocattoli e pigiamini. Le giuste conoscenze e le richieste d’aiuto diedero i loro frutti e in quattro settimane un’associazione tailandese per le adozioni ci assicurò che avrebbero trovato una famiglia affidataria. Non un orfanotrofio. Non lo avrei consentito.

L’attaccamento reciproco nell’incapacità di comunicare spinse entrambi a sforzi incredibili: imparare a comunicare nelle reciproche lingue nel minor tempo possibile per giocare spensieratamente. All’ospedale Vajira la solidarietà si respirava forte fra le tante persone che non hanno abbastanza soldi per recarsi nelle modernissime strutture costose private. Con il nulla si sorrideva, ci si aiutava, ci si sosteneva. Un pomeriggio al mio arrivo le mamme mi accolsero con gli occhi pieni di lacrime. Ef non c’era più. Non credo sia possibile immaginare quello che io abbia potuto provare. Il mio thai da sopravvivenza non mi consentiva di capire cosa stesse accadendo. L’unica infermiera che parlasse inglese arrivò di corsa nel sentire il trambusto che solamente un italiano può creare in pochi secondi. Ef era stato prelevato quella mattina stessa per essere portato in orfanotrofio senza che io fossi presente al momento della sua dimissione. Motivazione: secondo la psicologa era preferibile che io non manifestassi la mia emotività davanti a lui e che il non vedermi all’uscita avrebbe facilitato il processo di adattamento per lui nel nuovo ambiente. Ma non era tutto: non avremmo potuto rivederlo per non dargli l’impressione che sarebbe stato con noi. Vane le mie proteste. Un’unica consolazione: stava bene e se ne era andato dicendo all’infermiera di dirmi di aspettarlo perché sarebbe tornato presto.

Il concetto di tempo in un bambino è diverso da quello di un adulto e per me 12 mesi sono stati un’infinità.

Dicembre 2009. Inaspettatamente una telefonata dai servizi sociali avvertiva me e i miei amici coinvolti nella fase iniziale di questa neverendingstory che avremmo potuto rivedere Ef. Il mio regalo di Natale sarebbe arrivato con 2 settimane d’anticipo.

I preparativi per l’incontro segnarono i giorni che ci separavano.

Con l'amica tailandese che era con me quella notte siamo andati nell'orfanotrofio dove inizialmente venne accolto Ef. Al nostro arrivo la responsabile ci disse che lui non era ancora arrivato e che non dovevamo aspettarci nulla... dopo un anno la possibilità che non ci riconoscesse era alta. Un fiume di domande uscirono nell’attesa del suo arrivo. Le RX dei denti avevano dimostrato che ha poco più di 4 anni, vive sereno con una famiglia affidataria, la sua reale famiglia non e' stata rintracciata nonostante i numerosi tentativi, nessuno ha mai fatto denuncia di rapimento o smarrimento di un bimbo con quelle caratteristiche e presto avrebbe iniziato ad andare a scuola. Poco dopo il furgoncino con i bambini che venivano per vedere i parenti e' arrivato... Ef e' stato l'ultimo a scendere. E' corso dall'Assistente sociale ed ha guardato me e Pear... negli occhi si leggeva che era disorientato... come ogni volta che lo lasciavamo quando era in ospedale... Ma c'e' voluto poco perché si avvicinasse a noi... e chiamasse Pear per nome e me "zio", come mi chiamava in ospedale! Si era ricordato di noi. Non mi vergogno a dire che a stento ho trattenuto le lacrime! Le 2 ore successive sono trascorse in un batter d’occhi!


Se Ef avesse reagito positivamente a quel primo incontro avremmo poi avuto la possibilità di rivederlo. Non avevo dubbi. Dopo altre 3 settimane una nuova telefonata: nei giorni successivi al nostro incontro Ef si era dimostrato particolarmente sereno, aveva socializzato con gli altri 2 bambini ospiti della stessa famigli e aveva espresso il desiderio di rivederci.

Ed è così che ora passo il mio secondo martedì del mese, andando a trovare l’angioletto dagli occhi a mandorla. Il resto del tempo aspetto… aspetto che abbiano inizio le pratiche per le adozioni, che vada a scuola, che cresca sereno in questo paese che all’inizio non ha saputo dargli l’amore che ogni bimbo merita ma che ha davvero tanto da offrire a chi sappia accettarne le contraddizioni e non si fermi semplicemente all’apparenza: Amazing Thailand. Aspetto un lieto fine che non potrà non arrivare!

domenica 6 giugno 2010

Consigli utili

Viaggiare all'estero

Per la maggior parte di noi un viaggio rappresenta un momento di evasione dalla routine quotidiana e dallo stress di tutti i giorni. Proprio per questo una volta prenotato l'alloggio e il volo, se necessario per raggiungere la nostra meta, la tendenza comune e' di rimandare il resto dei preparativi fino a pochi istanti prima della partenza. E spesso ci limitiamo alla valigia e ad assicurarci che i documenti siano a posto (il Passaporto in Italia si deve rinnovare 1 volta all'anno solo se lo utilizziamo, altrimenti la vidimazione puo' essere riandata fino al momento del nuovo impiego).
Fino ad ora ho fatto parte anche io di questa categoria di viaggiatori. In relazione alla destinazione mi preoccupavo eventualmente di preparare un kit base di medicinali (gastroprotettori, antidissenteria e contro la febbre) e di informarmi sulle eventuali vaccinazione da effettuare (per le quali e' indispensabile un certo anticipo rispetto alla partenza).

La mia permanenza in Tailandia ha notevolmente modificato la mia visione dei viaggi. Indipendentemente dalla destinazione e dalla durata del soggiorno all'estero si dovrebbe considerare che gli imprevisti fanno parte del quotidiano. Un esempio: la Tailandia e' notoriamente un paese pacifico (la cultura buddista che lo caratterizza e' radicata in modo profondo); nonostante cio' i contrasti economico-culturali lo rendono allo stesso tempo politicamente instabile e gli ultimi avvenimenti ne hanno modificato la percezione che ne si ha dall'esterno.
Termini fino ad ora noti solo nella teoria sono diventati familiari nella realta'. Scontri, manifestazioni, crossfire, coprifuoco, stato di emergenza... Qualsiasi paese puo' riservare spiacevoli imprevisti. Essere preparati e' una priorita'!

Le procedure basilari minime da seguire possono essere cosi' riassunte:
1) eseguire lo scan dei documenti di viaggio (passaporto e biglietto aereo) ed inviarla via e-mail direattamente a se stessi e ad un contatto in Italia che possa eventualmente aiutare in caso di necessita'; l'invio ad un contatto consolare e' importante qualora ci si rechi in un paese considerato a rischio;
2) fare almeno una fotocopia a colori della pagina con foto del passaporto da portare sempre con se' e una fotocopia da lasciare in valigia;
3) registrarsi presso la Farnesina al sito Viaggiare Sicuri specificando i diversi spostamenti, gli hotel, le date di soggiorno;
4) se il soggiorno dovesse essere particolarmente lungo registrarsi all'Ambasciata Italiana direttamente nel paese. Molte Ambasciate hanno nella loro webpage un modello che si puo' compilare online.
5) procurarsi le cartine dei luoghi segnando in modo chiaro ospedali in cui parlino inglese, Ambasciata, sedi di Pubblica Sicurezza. Le mappe dovrebbero essere bilingue (spesso i tassisti non hanno un livello culturale tale de renderli fluenti nel capire e parlare inglese). Sapersi muovere non significa solo avere la nozione di dove si trovano ristoranti e monumenti ma anche sapere dove recarsi in caso di necessità;
6) informarsi su usi e costumi. Spiacevoli conseguenze si possono verificare qualora ci si comporti secondo le nostre consuetudini in paesi in cui vigono norme diverse dalle nostre (basti pensare ai al modo di vestire imposto anche alle donne occidentali in alcuni paesi mussulmani). Ad esempio a Singapore ci si puo' vedere respinto l'ingresso se si trasportano chewing gum o incorrere in multe salate se ad esempio si fuma troppo vicini ad un palazzo...
7) controllare i siti di informazione locale prima della partenza: i telegiornali italiani sono troppo impegnati a parlare delle sciagure di casa nostra per fornire costanti aggiornamenti di cosa succede al di fuori dello stivale;

Queste semplici precauzioni possono evitare a ciascuno di noi stress e ansia qualora dovessimo semplicemente smarrire il passaporto o trovarci nel bel mezzo di sommosse e scontri.
BUON VIAGGIO!!!

lunedì 31 maggio 2010

Perchè...


Nella vita ci chiediamo sempre il perchè delle cose... questa volta no! Scrivere, leggere, condividere sono le motivazioni che mi hanno spinto a creare queste pagine che spero cresceranno in fretta!